ATTI DELLE RELAZIONI DEL CONVEGNO DIOCESANO DELLE CARITAS PARROCCHIALI – 11 GIUGNO 2006 – CENTRO POLIVALENTE GIOVANNI PAOLO II RIONE TAMBURI.

(RELAZIONE DI DON GIOVANNI ANCONA (teologo) SULL’ENCICLICA DI PAPA BENEDETTO XVI “DEUS CHARITAS EST”.)

“”L’Enciclica di Papa Benedetto XVI resa pubblica, manco a dirlo, il 25 dicembre 2005, cioè nel giorno del Santo Natale, consta di 3 parti: l’introduzione, la 1^ parte dedicata ai temi teologici dell’Amore e della Carità e la 2^ parte dedicata all’operatività di questi temi, in  termini cioè di pragmatismi di solidarietà.
Nell’introduzione, il Pontefice traccia, in pratica, “l’orizzonte di comprensione” del tema dell’Amore Cristiano. E’, quindi, importante leggerla attentamente per avere gli strumenti cognitivi per comprendere meglio tutto il significato dell’Enciclica.
A me pare che tutta l’Enciclica traduca un messaggio essenziale su Dio e sull’uomo.
Al centro della Fede Cristiana, quindi, non c’è solo un contenuto teologico ma anche un contenuto antropologico. Sono due espressioni tratte dal Vangelo di Giovanni: la 1^ parte è “Dio è Amore”,nella 2^ si dice “chi sta nell’Amore dimora in Dio e Dio dimora in lui”.
C’è quindi una sorta di circolarità che va da Dio all’uomo e viceversa, in uno scambio continuo.
Questo vuol dire che la Fede Cristiana è sì, naturalmente, Fede in Dio ma anche Fede nell’uomo, e sapete quanta ce ne vuole oggi!
L’opzione fondamentale della vita cristiana è anzitutto abbandono, affidamento, radicamento a Dio-Amore. Non è però un Amore astratto perché è continuamente sperimentabile nell’umanità.
Ci si può chiedere, però: “perché credere all’uomo?” La risposta è: “bisogna credere all’uomo per il semplice motivo che Dio si è messo in gioco con l’umanità tramite Gesù Cristo”. Noi sperimentiamo in concreto l’amore di Dio grazie all’umanità di Gesù che è, quindi, il tramite di quella circolarità di cui parlavo prima: Dio nell’uomo, l’uomo in Dio, grazie a Gesù Cristo che ne è il mediatore”. Nel Vangelo si dice che l’Amore di Dio e l’Amore del prossimo sono inscindibili. Perché? Perché Dio e l’uomo si riconoscono nell’esperienza di Gesù: Chi ama Dio ama il prossimo. A partire da Gesù, Dio e l’uomo hanno un destino comune: quello di incontrarsi ed amarsi. Questo è l’assunto dell’introduzione dell’Enciclica di Papa Benedetto XVI:“in quale direzione cioè dobbiamo andare”.   Per capire gli elementi ideologici, noi dovremmo poter rispondere all’interrogativo fondamentale:“COSA SIGNIFICA DIO E’ AMORE?”
Non è facile rispondere. Rispondere, però, a questo interrogativo significa riuscire a capire due questioni, una teologica: “CHI E’ DIO”, cioè la Sua Identità ed un’altra antropologica, cioè: ”CHI E’ L’UOMO” grazie alla mediazione di Gesù.
La risposta a questo grande interrogativo oggi è ancor più fondamentale.
Nella nostra cultura occidentale si sta respirando, già da qualche tempo, un clima molto pesante dal punto di vista della fisionomia dell’uomo. Sembra un paradosso. Nell’epoca in cui viviamo l’uomo ha tante possibilità in più per esprimere con fantasia e creatività tutte le potenzialità tecniche a sua disposizione. Siamo protagonisti in tante attività: dalla possibilità di scrutare il misterioso pianeta Marte alla conoscenza della più piccola molecola. Avremmo, quindi, la possibilità di vivere, senza dubbio, una vita di qualità e di longevità migliore. Dobbiamo registrare, invece, un diffuso “smarrimento dell’identità dell’uomo”. E’ in atto, insomma, un processo di “decostruzione” dell’identità soggettiva dell’uomo, il quale viene considerato in modo frammentato in parti divise, i n una specie di lottizzazione teoretica intorno all’elemento Uomo.
Noi siamo considerati, cioè, una specie di “composto”. La scienza si interessa di un aspetto; la filosofia, la teologia di altri e così via. Tutte però dimenticano di considerare l’elemento umano nella sua unitarietà. Ciò permette di sfuggire dalla vera comprensione della vera identità dell’uomo.
Si considera il fenomeno uomo da diversi orizzonti: c’è l’uomo biologico, quello economico, quello teologico, l’uomo della città, quello della campagna e quello della montagna, l’uomo della famiglia ecc.. E’una considerazione frammentata che genera indubbiamente smarrimento.
Non abbiamo un vero centro di riferimento, neanche in noi stessi, che possa suggerirci il fatto che oggi la questione antropologica è una questione davvero  molto seria.
L’Enciclica di Papa Benedetto XVI, va a calarsi, questo senso, proprio al centro del problema: quello della cultura di quest’epoca.
Per capire cosa significa “Dio è Amore” possiamo ricorrere al linguaggio dell’analogia, di una doppia analogia.Due analogie, cioè, che si completano sempre in virtù della famosa “circolarità”di cui ho parlato prima.Una prima analogia, nel nostro caso, significa che noi troviamo nell’esperienza che ci appartiene un luogo da cui partire per capire cosa possa significare “Dio è Amore”.
Facciamo un esempio pratico. Il luogo dell’analogia, in questo senso – dice l’Enciclica – è l’amore tra un uomo ed una donna. Se vogliamo quindi capire cosa significa Dio è Amore , o meglio che l’Amore che è Dio, dobbiamo partire da questa esperienza: cioè dall’amore coniugale.
A partire da questa esperienza – dice il Papa – si può notare che l’Eros è l’esperienza dell’umano, cioè lo slancio naturale verso l’altro. Non dobbiamo, però, confondere l’Eros con l’erotismo.
All’origine di un rapporto tra un uomo ed una donna c’è quindi uno slancio naturale dall’uno verso l’altra. Si dice infatti: “quella donna mi piace e viceversa”.
Nell’amore coniugale questo slancio naturale, l’eros, pian piano è, per così dire, disciplinato, purificato, cioè matura e si trasforma in amore vero. Dopo venti o trent’anni, quando non ci sarà più tanto la bellezza o l’attrazione fisica che ha provocato il primitivo slancio naturale, l’amore ci sarà sempre perché quello slancio si è purificato, si è compiuto nella completa scoperta dell’altro, non più e solo fisicamente. L’amore nella vita è una continua scoperta della vita dell’altro, della sua identità, della sua diversità biologica. Dire che dopo 4° anni di unione ci si conosce in tutto e per tutto è una  bugia. La scoperta dell’altro è un processo in continuo. Forse scopriamo l’altro, veramente del tutto, quando non c’è più, quando ci viene a mancare. Noi conosciamo l’altra perché ce ne prendiamo cura sempre. C’è una dedizione assoluta l’un verso l’altra, quando due persone si amano veramente. C’è il dono reciproco della vita. Questo è il superamento dell’egoismo. E’ la maturazione dell’eros nell’àgape. Cioè la sintesi personale di corpo e anima.
Eros e àgape sono due termini fondamentali per capire a fondo l’amore vero. L’eros come termine per significare l’amore mondano. L’àgape come espressione per l’amore fondato sulla fede e da essa plasmato. Le due espressioni – si legge nell’Enciclica – vengono spesso contrapposte come amore “ascendente” e amore “discendente”. Nel dibattito filosofico e teologico queste distinzioni spesso sono state radicalizzate fino al punto di porle in contrapposizione tra loro: tipicamente cristiano sarebbe l’amore discendente, oblativo, l’àgape appunto; la cultura non cristiana, invece, soprattutto greca, sarebbe caratterizzata dall’amore ascendente, bramoso e possessivo, cioè l’eros. In realtà eros e àgape non si lasciano mai separare completamente l’uno dall’altro.
Anche se l’eros inizialmente è soprattutto fascinazione per la grande promessa di felicità, nell’avvicinarsi poi all’altro si porrà sempre meno domande su di sé, cercherà sempre di più la felicità dell’altro, si preoccuperà sempre di più di lui o di lei, si donerà e desidererà “esserci per l’altra/o”. Così il momento dell’àgape s’inserisce in esso, altrimenti l’eros decade e perde anche la sua stessa natura.
Dal vocabolario leggiamo testualmente il significato letterale del termine àgape: “affetto, amore, carità di cui danno prova e fruiscono gli eletti, derivandoli dalla grazia divina”.
L’analogia dell’amore della coppia che abbiamo preso in considerazione, n on è comunque sufficiente per capire il significato di “Dio è Amore” e non è sufficiente neanche per capire l’uomo.
Chi pensa di aver capito tutto sbaglia se si basa solo sull’analogia della coppia. Ci sono pur sempre altre persone da considerare. Dobbiamo quindi percorrere un’altra analogia oltre quella dell’amore, cioè quella della Fede. Significa “capire cosa Dio dice di se stesso e ciò che ne deriva ed è importante non solo per capire Lui ma anche per capire noi”.Quando Dio ci parla non dice solo qualcosa di sé ma dice anche qualcosa su di noi uomini.Nelle scritture noi abbiamo la storia di questo linguaggio di Dio.
Quando ci dice: “Io ti ho creato” non dice solo che Lui è il Creatore ma dice anche che “noi esseri umani  siamo sue creature”. Pensate sia poco? No, anzi è molto. Quando dice che ci ama dice anche che noi siamo amati, nonostante tutto, siamo salvati e perdonati.
Lo ha detto in pienezza, con il nostro linguaggio, nella Persona di Gesù, nella cui esperienza terrena sono presenti Dio e l’uomo. In  Gesù, quale medium, le due esperienze sono unite.
Cristo è l’umanizzazione di Dio. Siamo dunque al vertice della creazione.
Dio e l’uomo, quindi, sono due esseri che si cercano e si scambiano l’Amore attraverso Gesù Cristo. Questa “circolarità” dell’Amore di Dio per l’uomo e dell’Amore dell’uomo per Dio ci viene consegnata da Gesù nell’Eucarestia.
Il Papa sottolinea molto il ruolo dell’Eucarestia come Sacramento dell’Amore reciproco in corpo e sangue.
Tirando le conseguenze non si può fare carità senza Eucaristia. L’amore verso il prossimo è infatti il Sacramento dell’Amore di Dio.
Dice la prima lettera di Giovanni: “come fai a dire di amare Dio che non vedi, se poi non ami il fratello che vedi!”
Con un’attenzione forte dobbiamo considerare che questa “circolarità” dell’amore definirà anche il nostro destino di uomini: “quando lo avete fatto ad uno dei miei fratelli, l’avete fatto a Me”.
Da queste istanze forti scaturisce per la comunità cristiana il compito precipuo, particolarissimo, del servizio della carità, l’operatività delle Fede, attraverso l’azione nei confronti dell’altro.La carità può essere fantasiosa, creativa, ma richiede anche dei criteri. Non significa colmare solo le lacune – dice don Nino – ma significa anche promuovere l’umano i n tutte le sue espressioni, dando anche le opportunità per poter vivere dignitosamente, per procedere verso l’umanizzazione globale con una carità a tutto tondo.

Toni Cappuccio