Un altro anno è trascorso tra tante vicissitudini, purtroppo, perlopiù negative dal punto di vista socio-economico. Il “cappio” del dissesto acuisce ed ingigantisce problemi già esistenti.
C’è, però, sempre una luce che dà speranza. La Caritas ed i suoi solerti volontari hanno continuato ad operare, giorno e notte, con progetti e programmi di concreta solidarietà, spesso sostituendo ed integrando l’azione dei servizi sociali delle Istituzioni civili.
Con il direttore, Don Nino Borsci, sempre impegnato su più fronti con caritatevole pragmatismo, vogliamo fare il punto della situazione.
Don Nino com’è lo stato di salute della Caritas e delle Caritas parrocchiali?
“Abbiamo avuto delle crescite significative, almeno sul piano della sensibilizzazione ma molto resta da fare. Anche quest’anno ho rappresentato la situazione all’Arcivescovo convenendo insieme sulla necessità di insistere affinché ogni parrocchia si doti dell’organismo Caritas.
Quando nel 1975 Papa Paolo VI volle istituire la Caritas intendeva promuovere in ogni parrocchia l’istituzione di un gruppo Caritas, composto da laici guidato dal parroco, per occuparsi della Carità verso i più poveri con senso pedagogico e con azioni concrete come la mensa per i poveri, i centri di accoglienza, quelli per gli immigrati e tutto ciò che potesse servire per venire incontro alle necessità dei variegati disagi sociali locali.
Cioè con respiro più ampio che non si limitasse solo alla distribuzione di pacchi viveri.”
E dopo trent’anni a che punto stiamo nella nostra Diocesi?
“Non tutte le parrocchie si sono dotate ancora del gruppo Caritas. Siamo però ad un buon 80%. Durante quest’anno siamo andati nelle vicarie della Diocesi per sostenere l’idea dell’istituzione dei laboratori parrocchiali e quindi del gruppo Caritas da affiancare agli altri organismi. Il problema della Carità verso i poveri non può limitarsi a risolvere i disagi solo nell’immanente, ma deve guardare oltre.
Deve educare il povero a tentare di uscire dallo stato di precarietà sociale per riguadagnare la sua dignità di Persona.”
E’ un po’ ciò che riguarda l’opera del Centro di Accoglienza nell’immaginario collettivo?
“Esatto. Molti pensano che l’accoglienza dei senza tetto debba essere permanente.
Noi insistiamo, invece, nel dire che deve essere temporanea, per venire incontro all’emergenza. Poi bisogna educarli a darsi da fare per risolvere, per quanto possibile, la loro precarietà sociale, la cui risoluzione spetta anche alle istituzioni politiche e civili.
Non possiamo accogliere sempre le stesse Persone, vorremmo anche dare spazio ad altri.
Qui, purtroppo, tocchiamo l’eterno tasto dolente della cronica mancanza di strutture pubbliche sociali nel nostro territorio, contrariamente a ciò che accade altrove.
Torniamo in casa-Caritas. C’è sempre la necessità di interloquire più assiduamente con tutte le parrocchie della Diocesi, al fine di instaurare una sinergica ed emulativa azione fra di esse e con la Caritas Diocesana?
“A questo interessante progetto stiamo dedicando parecchia attenzione.
Nel nostro Centro Polivalente al rione Tamburi stiamo istruendo, con appositi corsi, diversi direttori delle Caritas parrocchiali all’uso del computer con il nostro tecnico-insegnante Luca Santoro. Per poter, però, perseguire l’obiettivo del progetto OSPO3, cioè mettere tutti e tutto in rete, sarebbe auspicabile che ogni parrocchia si doti di un computer. Da parte nostra ne abbiamo potuto distribuito solo 4. Lo scopo è quello di avere dati significativi delle risorse e delle povertà esistenti in ogni parrocchia e quindi poter intervenire con più efficacia.
Noi dobbiamo anche volgere lo sguardo e l’attenzione alla mondialità.
Attualmente, infatti, nei dossier regionali delle Caritas non siamo presenti come dati ma siamo presenti con storie significative.”
Le azioni e le storie della Caritas non finiscono, ovviamente, qui.
Ci sentiamo al prossimo numero.
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